Santa Maria del Tiglio
a Gravedona

di Luca Frigerio

Prendetevi tutto il tempo che vi occorre. Rubatelo al lago, se vi riesce. Chiedetelo ai monti attorno, se necessario. La sua bellezza, i suoi segreti, Santa Maria del Tiglio li concede soltanto a chi non ha fretta, a chi accetta di contemplare a lungo, socchiudendo gli occhi, muovendosi adagio.

Siamo a Gravedona, sulla sponda occidentale dell’alto Lario, al cospetto di un monumento unico, che non ha eguali nel pur ricco patrimonio del romanico lombardo. Un tempio di rara armonia, di squisita eleganza, dove ogni dettaglio, ogni particolare sembra rispondere a un preciso programma, per il godimento estetico di chi guarda, per l’elevazione spirituale di chi osserva. Quasi un’architettura per l’anima.

Il lago è lì, a due passi dalle sue mura, e te lo senti addosso, come un abbraccio, mentre ti sussurra di storie lontane, che lui ha visto, che lui ha vissuto. Di quando, ad esempio, Santa Maria del Tiglio ancora non era, e qui, proprio nello stesso luogo, sorgeva un antico battistero a san Giovanni dedicato. O di quando Ludovico il Pio, figlio e successore di Carlomagno, volle spingersi fin quassù per verificare di persona di un prodigio che gli era stato raccontato. O di quando ancora, su questa riva, i gravedonesi tesero un’imboscata agli uomini in armi del Barbarossa… Ma è solo un’eco, un mormorio indistinto di cui si coglie a tratti qualche breve espressione.

Così è. Le notizie sull’origine di Santa Maria del Tiglio sono inversamente proporzionali al suo splendore, cioè pressoché nulle. Ma se tacciono le fonti, parlano le pietre: il tempio comasco è lì da ammirare, meravigliosa realtà. Anche se tutto è diverso da come ce lo si potrebbe aspettare, tutto è inatteso, strano, sorprendente.

Pare un cubo, ad esempio, massiccio, solidissimo. Eppure non c’è pesantezza, non c’è oppressione. Al contrario: ogni struttura, ogni elemento, sembra innalzarsi, tendere al cielo e svettare. Così accade per la facciata, ma anche per la parte absidale e i fianchi stessi. Uno slancio che culmina nella torre campanaria, posta sulla facciata e di forma ottagonale, particolari entrambi a dir poco inconsueti. Tanto che ancor oggi gli esperti si interrogano se questo campanile sia quello originario oppure no, divisi tra chi lo vuole geniale creazione dei maestri comacini e chi lo attribuisce a maestranze tardo-rinascimentali influenzate dal Bramante. La risposta, se mai ci sarà, andrà senza dubbio ad arricchire la storia dell’arte, ma non toglierà un’oncia al fascino di questa straordinaria costruzione, ne siamo certi.

Semplice quanto raffinata è poi la modalità costruttiva di tutta la chiesa, che gioca sull’alternanza dei materiali lapidei tipici del Lario, intervallando i grigi blocchi di Olcio con i conci candidi di Musso. E non solo, in verità. Quando il sole buca le nuvole sul lago, Santa Maria del Tiglio s’arricchisce di sfumature cangianti, di riflessi celesti e ambrati che mutano col mutare della prospettiva, anche di un passo soltanto.

Concedetevi ancora qualche istante qui fuori all’aperto, per scoprire la delicatezza di ornamenti accennati – come gli archetti pensili, o la morbida strombatura delle monofore, o la cornice a dente di sega al culmine delle pareti – e soprattutto per valutare la pulizia delle linee, la simmetria delle forme. La chiesa dà le spalle al lago, fedele all’orientamento canonico ad Oriente. Ma guardando da lontano, dall’alto di una delle balconate panoramiche tra le ultime case di Gravedona, proprio la parte absidale pare diventare la “vera” facciata di Santa Maria del Tiglio, affacciata alle acque.

L’interno offre ulteriori motivi di stupore. Quel che si intuiva da fuori, ora lo si percepisce con chiarezza. Il tempio ha pianta quadrata, con l’innesto su tre lati di absidi semicircolari, secondo un modulo – si pensa, si ipotizza – che doveva essere quello del primigenio battistero. Chi realizzò il santuario del Tiglio, insomma, fece qualcosa di assolutamente nuovo, ma rispettando lo spazio antico, dando così continuità nell’innovazione, rivestendo di modernità una secolare presenza. E tutto questo avveniva, è probabile, attorno alla metà del XII secolo.

La luce, che filtra generosa, ma senza abbagliare, svelando poco a poco, gioca tra pieni e vuoti che si susseguono sia nella parte bassa che nell’alzato. Nicchie, rientranze, loggiati, colonne, archi, ghiere… Il tutto ad alleggerire e ad innalzare, e tuttavia senza sminuire in nulla quella che è la forza, il raccoglimento dell’architettura romanica, qui a uno dei suoi massimi gradi di maturità e di bellezza.

Sulle pareti si rinnova il contrasto chiaro/scuro, nero/bianco di pietre diverse, ma con ancora più vigore, con intento decorativo ancora maggiore. Nel Trecento, pittori che già avevano appreso la lezione di Giotto realizzarono in Santa Maria del Tiglio vasti cicli di affreschi, dei quali rimangono ampi brani sparsi. Come il grandioso Giudizio Universale sulla controfacciata, con la personificazione dei Vizi e della Virtù. O come l’immagine curiosa di Lucio che porge una formaggio a un affamato, affascinante figura di santo-contadino assai venerata in queste contrade.

Dall’alto veglia un gigantesco crocifisso ligneo, romanico anch’esso, antico e splendido quanto la chiesa che lo accoglie. Le braccia spalancate, inchiodate alla croce. Ma la testa sembra sporgersi, e il Cristo guardare giù verso i fedeli. E ci si sente infine confortati. Siamo a casa, al cospetto di Dio.

LA FIRENZE DEL LARIO

Ricca di storia e di suggestioni, Gravedona è da sempre il “capoluogo” dell’alto Lario occidentale. E se Santa Maria del Tiglio è la sua gemma più preziosa, il territorio attorno è comunque generoso di monumenti e di luoghi di grande interesse. A cominciare dall’antichissima pieve di San Vincenzo, che sorge accanto alla chiesa stessa del Tiglio. Fondata in epoca paleocristiana, ricostruita poco dopo il Mille, presenta oggi un aspetto barocco con dipinti secenteschi di scuola lombarda e romana: notevole la cripta, rara in questa parte del comasco, che ha mantenuto i caratteri medievali.

Nella parte più alta di Gravedona, in un vasto piazzale a platani, si trova la chiesa dei Santi Gusmeo e Matteo: bello il colpo d’occhio degli esterni, con le masse ancora di sapore romanico; l’interno, invece, fu trasformato nel XVI secolo e rivestito di affreschi da Giovan Mauro della Rovere, detto il Fiammenghino. Poco oltre, in posizione panoramica, con splendida vista sul lago, si incontra la chiesa di Santa Maria delle Grazie, con portali rinascimentali e una fastosa decorazione pittorica dei primi del Cinquecento.

A chi vuole visitare questi luoghi, consigliamo di mettersi in contatto preventivamente con il professor Giovanni Monti (tel. 0344.89561).

NOTIZIE UTILI

Per raggiungere Gravedona (Co) in auto, da Milano o da Bergamo, è consigliabile prendere la strada statale 36 che da Lecco sale verso Colico, girando poi in direzione Sòrico e scendendo quindi sulla sponda occidentale del Lago di Como.

Pullman di linea partono da Colico e da Como. Servizi di navigazione collegano Gravedona con Como e Varenna.

La chiesa romanica di Santa Maria del Tiglio si trova nella parte del borgo prospiciente il lago: di norma è sempre aperta al pubblico, dalle ore 9 alle 18 circa. Per ulteriori informazioni si può contattare la parrocchia al numero 0344.85261.