il castello dimenticato
di Cusago

Storia prima magnifica e poi amarissima di antico maniero alle porte di Milano

di Luca Frigerio

Campi a perdita d’occhio, sparse cascine, canali e macchie di bosco. E, su tutto, pace e silenzio. Pare un miracolo. Bastano pochi minuti di macchina, o una breve pedalata, per lasciarsi alle spalle Milano e le sue frenesie. Perché a Cusago il tempo sembra davvero essersi fermato. Due torri annunciano fin da lontano il piccolo borgo agricolo, quella campanaria della parrocchiale e quella più mossa del castello. Affacciati sulla medesima piazza, ampia eppur raccolta come una vecchia corte, chiesa e maniero si guardano. E ne hanno di cose da raccontarsi. Ricordano i tempi andati, per lo più. Di quando i duchi di Milano giungevano quaggiù per cacciare, a divertirsi e a riposarsi delle fatiche del governo. Scorazzavano a cavallo, i gran signori, orgogliosi della loro potenza, in chiassosa compagnia di cortigiani e levrieri. Fu Bernabò Visconti, secondo alcuni storici, a erigere il castello di Cusago pochi anni dopo la sua ascesa al potere, nel 1354, forse trasformando e ampliando una precedente fortificazione longobarda. Bernabò «il feroce», così diverso dal fratello Galeazzo («il più bello tra i più delicati giovani milanesi... », come ricordava un cronista dell’epoca), con il quale condivideva il dominio del territorio milanese. Malaticcio e timoroso, Galeazzo badava a circondarsi di alte mura e muniti baluardi, come a Porta Giovia e a Pavia. Bernabò amava invece l’avventura, era spavaldo e aggressivo: il castello non gli serviva come riparo, ma come luogo di svago, come residenza di prestigio in cui invitare amici e notabili. E così fece a Cusago. La stessa passione per la caccia portò quaggiù Gian Galeazzo. Degno nipote di Bernabò, il giovane Visconti, rinchiuso lo zio in un altro castello (quello di Trezzo), divenne signore di Milano e di un’altra ventina di città in alta Italia, fregiandosi per primo del titolo ducale. Gian Galeazzo fece dei boschi di Cusago una riserva personale, intoccabile: daini, cervi, cinghiali e selvaggina minore dovevano essere lasciati tranquilli dai contadini locali in attesa delle ducali battute. Fu tuttavia Filippo Maria colui che più amò Cusago, il suo castello, i suoi spazi aperti. Qui il duca si ritirava ogni qual volta poteva, lustrando i preziosi archi che aveva fatto arrivare dalla lontana Ungheria, ma anche redigendo atti ufficiali e lettere diplomatiche. La caccia, innanzitutto. Rito cortese e cavalleresco se fatta in gruppo, occasione di meditazione se solitaria, la caccia era per Filippo Maria qualcosa di irrinunciabile. E il Visconti «quanto più sembrava intento a cacciare», osservava il Decembrio, fine umanista e compiacente biografo ducale, «proprio allora andava considerando in cuor suo il da farsi a proposito di gravi questioni di Stato».

Filippo Maria ristrutturò ampiamente il castello cusaghese, abbellendolo di nuove stanze e di ricche decorazioni, facendone una dimora degna di un principe. Di tutto volle occuparsi in prima persona, come sempre del resto. Diffidente per natura, nei suoi scritti, quasi un diario, leggiamo i rimproveri al cantinaio, le raccomandazioni al guardiacaccia, le osservazioni alla servitù... Quando poi divenne troppo grasso e anziano per cavalcare, il duca cominciò a farsi portare in quel luogo di delizia in “carretta”, come lui stesso chiamava affettuosamente la lussuosa imbarcazione che, da Milano, solcava il Naviglio fino a Cusago. Filippo Maria fu l’ultimo dei Visconti. Alla sua morte, nel 1447, la neonata Repubblica Ambrosiana decretò la distruzione del castello di Cusago, simbolo del passato potere, e l’incameramento di tutti i beni ad esso collegati. Non sappiamo se tale ordine venne poi eseguito, o se, più probabilmente, l’edificio fu soltanto svuotato e abbandonato. Di certo né i rivoltosi repubblicani prima, né il nuovo duca poi, avevano tempo e voglia per la caccia e lo svago. Francesco Sforza, troppo occupato a combattere, se ne disinteressò; il suo successore Gian Galeazzo vi trascorse qualche giorno di riposo, ma non esitò poi a ipotecarlo per fornir di dote la sorella Elisabetta. Diverso fu invece l’atteggiamento di Ludovico il Moro che, consolidato ormai il potere sforzesco, potè rinnovare nel castello di Cusago il passato splendore, e anzi aumentarlo. Il Moro lo ornò come un gioiello, con loggia ariosa e bel porticato, con affreschi ovunque, all’interno e all’esterno, e così rifinito ne fece dono alla moglie Beatrice d’Este, che lo utilizzò per feste e ricevimenti. La fine del ducato di Milano segnò anche l’inizio di una lenta e inesorabile decadenza dell’antico edificio. Francesco II Sforza, nel 1525, cedette il castello al conte Stampa in cambio degli aiuti economici da lui dati per la guerra contro i francesi. E agli Stampa rimase fino al nostro secolo, oziosa e pacifica residenza di campagna. L’autentico degrado è cominciato nel dopoguerra, quando il nobile edificio venne adibito a condominio per famiglie in affitto. Senza alcun rispetto le ampie sale furono divise da tramezzi e soppalcate, gli antichi affreschi ricoperti, intere zone ridotte a pollaio e a deposito per attrezzi agricoli. Murate porte e finestre, compresa la bella loggia. Il cortile, in un pietoso stato di abbandono, snaturato per feste di paese e di partito. Quel che non vollero, o non riuscirono a fare, gli arrabbiati della repubblica ambrosiana fu così tollerato negli anni della neonata repubblica italiana. Oggi il castello di Cusago appare semplicemente come un rudere pittoresco. Appartiene a privati, che, probabilmente, non sanno bene che farne... Ma intanto resta disabitato e chiuso a tutti. Nessun fa nulla, nessuno sembra badargli, nonostante da anni, ormai, l’edificio sia stato dichiarato monumento nazionale e riconosciuto tra i più importanti e interessanti nel suo genere in Lombardia. Qualche ponteggio qua e là fa sperare nell’inizio di lavori di restauro, ma in realtà si tratta solo di interventi di emergenza per evitare ulteriori crolli e disfacimenti. Eppure nelle stanze ancora si scorgono le bisce di pietra dei Visconti, i fregi del Moro, camini rinascimentali ed eleganti capitelli. Chissà cosa direbbe l’irascibile Bernabò detto il “feroce”...

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NOTIZIE UTILI

Situata nella zona a sud occidentale di Milano, Cusago dista circa 5 chilometri dalla città.

In macchina dalla città (p.ta Magenta) in direzione Baggio seguire la via Parri, quindi via Cusago (SP114); oppure uscita n.4 della tangenziale ovest (Cusago-Milano-Bisceglie).

Le linee di autobus ATINOM sulla tratta Magenta-Abbiategrasso-Milano collegano in circa dieci minuti Cusago alla fermata di Bisceglie della Metropolitana 1, linea rossa;

alcune corse della linea ATINOM servono anche la frazione di Monzoro.

Cusago è collegato alla fermata di Milano Bisceglie anche dall’ATM, numero 327, con un itinerario che passa per Trezzano.

L’uscita di Cusago sulla tangenziale ovest, distante circa tre chilometri dal centro del paese, permette di raggiungere rapidamente tutte le autostrade.