i mille anni della
Basilica di Ariberto

A Galliano, frazione di Cantù, la chiesa romanica di San Vincenzo conserva un ciclo di affreschi dell'XI secolo tra i più importanti in Europa.

di Luca Frigerio

Questa storia inizia mille anni fa. Protagonista è quell'uomo, un presbitero, che è ritratto all'interno del tempio di San Vincenzo che lui stesso ha fatto ampliare e decorare a Galliano, antichissimo borgo, oggi frazione di Cantù. Il suo nome è Ariberto: una delle figure più importanti e carismatiche della prima metà dell'XI secolo. E non solo per la diocesi di Milano.

Già, perché Ariberto sarà vescovo, successore sulla cattedra di Ambrogio, e arbitro dei fatti politici e religiosi del suo tempo nell'intera cristianità d'Occidente. Ma per ora, siamo nel 1007, egli è “soltanto” suddiacono della Chiesa milanese, e custode di una vetusta basilica. Ha forse trent'anni, probabilmente anche meno. E un'infinita ambizione, che si accompagna a una pronta intelligenza, una viva determinazione e una vasta cultura. Tutte qualità che avrà modo di dimostrare. E di sfruttare.

La chiesa di Galliano aveva già cinque secoli, quando Ariberto vi pone mano. E meno di cent'anni prima era stata rimaneggiata. Ma non è una semplice ristrutturazione, che il giovane custode ha in mente. Il sacro edificio canturino dovrà diventare la materializzazione, nelle pietre e nei colori, di un nuovo programma spirituale e temporale, l'annuncio solido ed eclatante di un'autorità in cerca di affermazione e di conferme.

Per questo Ariberto chiama nel “suo” territorio gli artisti non solo più capaci, ma anche quelli più innovativi, chiedendo loro soluzioni inedite e risultati stupefacenti. Sarà accontentato. Il nuovo presbiterio di San Vincenzo ha una maestosità che non si era vista l'eguale, nei santuari ambrosiani. E la cripta sottostante, con la sua impostazione a oratorio, con le sue volte a crociere, sarà presa a modello nei decenni a venire nei più importanti cantieri lombardi. Certo gusto romanico, certe invenzioni architettoniche, nascono proprio qui, al culmine di un erboso declivio nel cuore della Brianza.

Nel ciclo pittorico il suddiacono di Intimiano si spinge ancora più oltre. S'affida al pennello di un maestro per noi oggi anonimo, ma grandissimo. Un puro talento, visionario nel segno, apocalittico nel gesto: di probabile formazione transalpina, eppure con forti accenti orientali, bizantini persino. Al centro dell'abside colloca un Cristo in gloria, non seduto, si badi, ma in piedi, le braccia spalancate, trionfante, come un imperatore che abbia marciato vittorioso attraverso il suo dominio, che è l'intero universo. Ai lati, gli arcangeli Michele e Gabriele introducono al cospetto del Salvatore le schiere degli eletti, martiri e santi, coronati e palmati, mentre due profeti, Ezechiele e Geremia, si prostrano ai piedi dell'Onnipotente. Un'immagine grandiosa nella sua ieraticità, potente nel suo messaggio, che ancora vibra, nonostante le molte lacune, che ancora intimorisce, nonostante le ampie cadute di colore. Davvero non c'è nulla di simile nella pittura europea dell'anno Mille giunta fino a noi.

La decorazione del catino absidale continua con le scene della Passione del diacono spagnolo Vincenzo, le più antiche conosciute in Italia. E con una serie di elementi simbolici che vanno dal pavone, emblema dell'immortalità, alla fenice, richiamo pressochè universale all'idea della rinascita, e quindi della resurrezione cristiana. Anche in questi, che possono sembrare dettagli, come nelle greche o nei vari motivi ornamentali, la qualità pittorica si conferma a livelli altissimi, sbalorditivi. Più semplice e narrativo, invece, è il carattere degli affreschi che ricoprivano le pareti delle navate, con le storie illustrate a meridione di sante figure femminili (Giuditta e Margherita), con le gesta a settentrione di eroi maschili della fede (Sansone e Cristoforo). E diciamo “ricoprivano” perché, purtroppo, di questi cicli intrisi di memorie carolinge ben poco è oggi leggibile. A fianco della basilica sorge il battistero, così dappresso da farne un unico corpo. La valenza architettonica è, se possibile, ancora maggiore. Uno spazio ampio, consapevolmente sovradimensionato, incentrato sul fonte battesimale, ma svettante verso l'alto. La pianta quadrilobata si ripercuote all'esterno in un gioco complesso di pieni e di vuoti, di forme concave e convesse. A lungo si è dibattuto sulla datazione della struttura, che tuttavia denuncia in ogni parte la grandeur creativa di Ariberto e dei suoi campioni: nella decorazione sobria e tuttavia raffinata; nell'impianto massicio come una fortezza; nel desiderio di sorprendere, i contemporanei come i posteri, inventando un edificio assolutamente nuovo, ma partendo da schemi antichi e palatini... Il vero problema, semmai, è se questo battistero sia stato eretto contemporaneamente alla chiesa o qualche anno più tardi, quando il nostro già impugnava il pastorale come uno scettro, trattando con principi e imperatori, difendendo i privilegi ambrosiani, schiacciando l'eresia, commissionando altre, meravigliose opere d'arte.

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